Dall’isola di Miyajima con un battello in poco tempo ci trovammo ad Hiroshima.
Il traffico in Giappone è soffocante quasi quanto il caldo e camminare per le strade non è semplice: l’ossigeno cominciava a mancare e gli arti si gonfiavano a dismisura. Per la prima volta avevo deciso di affrontare un cammino nel mese di agosto e mi ero ripromessa di non farlo più, salvo poi partire per la Magna Via Francigena siciliana l’anno successivo, sempre in agosto.
Le mie, sono promesse farlocche!
Dopo la visita nello Shikoku ritrovarmi nella folla cittadina fu traumatico. Non sopportavo i rumori, la folla delle persone, i suoni dei clacson e le luci dei maxi schermi che lanciavano l’ultimo videogioco. E i profumi delle persone. Ho ricominciato a risentire gli odori di Dior, Cartier, Givenchy. Anche il suo profumo al quale ormai mi ero disabituata ritornò. Fu un dolore atroce risentirlo, uno squarcio allo stomaco che mi lasciò senza respiro per 5 secondi temendo un infarto. Ma poi è passato. Tutto passa.
È’ difficile perdonare chi ci ha ferito ma ancor più difficile è perdonare noi stessi perché lo abbiamo permesso. Ho meditato tanto sui sacri concetti buddisti e sulla filosofia delle persone che ho incontrato sull’isola e proprio ora che i miei pensieri seguivano la via del silenzio, la città offuscava la mente.
Dopo aver percorso l’affollata strada dello shopping la quiete prese il posto della confusione. Lentamente, dal lungo viale affollato, mi ritrovai tra i prati e i sentieri del Peace Memorial Park senza mai distogliere lo sguardo dall’unico edificio resistito al tritolo: il Bomb Dome, uno scheletro con la cupola semi intatta tra i resti degli edifici.
La schiena si trasformò nell’autostrada del brivido e non avvertii più il caldo torrido dell’estate, perché il cuore improvvisamente si congelò.
Ma cosa è in grado di fare l’uomo?
Questa domanda mi accompagnò per l’intera giornata. L’immaginazione mi riportò a quel 6 agosto del 1945 per intravedere i volti della sofferenza mentre le vittime lette sui libri di storia finalmente avevano un volto.
Meditando sulle grandi distruzioni di massa il pensiero si riportò allo squilibrio sociale dei giorni nostri. La terza guerra mondiale é già in atto, mentre l’individualismo occupa la scena e ci conduce alla perdita dell’identità e del bene comune. Qualcuno pensa che il responsabile del disastro umano sia la globalizzazione. Io non conosco la verità assoluta ma sono consapevole che gli eccessi non sono mai un buon seme da coltivare. Tolleranza, accoglienza e giustizia sono diventate un’utopia.
Oltre al Peace Memorial Museum, che permette di conoscere la storia di Hiroshima e l’avvento della bomba atomica, degno di nota è il memoriale dedicato ai giovani fanciulli deceduti, il Genbakuno ko no zo, realizzato per commemorare la piccola Sadako Sasaki morta di leucemia a seguito delle radiazioni della bomba.
La storia narra che la giovane durante la sua permanenza in ospedale realizzò oltre mille gru orizuru con la tecnica dell’origami. L’origami, corrisponde all’arte di piegare la carta ed è legata ad un significato sacrale finalizzato alla ricerca del divino.
Sadako credeva che impegnandosi a fondo nella realizzazione di piccole gru avrebbe posto fine a tutte le sue sofferenze. Durante la sua malattia lanciò un messaggio: scriverò pace sulle tue ali, intorno al mondo volerai, perché i bambini non muoiano più così.
All’interno del parco si trova un’installazione dedicata alla piccola e ai tutti i bambini deceduti. Una bomba che ritrae in cima la figura di Sadako con le braccia aperte verso il mondo e una gru come segno di immortalità. Ai piedi della statua turisti, e non solo, rendono omaggio a tutti i bambini lasciando una piccola gru di origami, esprimendo il desiderio inciso alla base della statua: questo è il nostro grido, questa è la nostra preghiera: la pace nel mondo.
Provammo una comune commozione. Tra me e Claudia le parole erano superflue ed uno sguardo era sufficiente per capire cosa stessimo pensando. Il mio compagno di viaggio non l’avevo scelto perché mi era stato mandato da qualcuno.
Nonostante il forte legame che ormai ci univa, era giunto il momento di salutarci e alle 18 un bus avrebbe accompagnato Claudia a Kyoto, mentre io avrei vagato senza meta. Poco prima di salutarci ci indirizzammo verso un Atm per prelevare del danaro:
Belin, non funziona!
Come non funziona Claudia?
Questo merda di bancomat non va, ma ce li ho i soldi!
Claudia cominciò ad agitarsi e imprecare in ligure. La sua boccuccia vomitò le parole più sconce che avessi mai sentito, ma quello non era il momento per ridere.
Aspetta Claudia, proviamo con la mia carta.
Digitai il codice segreto e il bancomat mi diede 1000 yen. Non sapevo come dirglielo.
Claudia, la mia carta funziona … cerchiamo un altro sportello..
E fu così che tentammo di prelevare i soldi dal conto di Claudia in circa 20 Atm senza raggiungere il successo sperato. Contattammo la banca in Italia ma era sabato e nessuno prestava servizio. Cercammo di contattare il numero verde internazionale ma .. era un numero verde .. internazionale.. Così le offrii insistentemente dei soldi che lei puntualmente rifiutò. Dopo circa due ore di smarrimento tra gli Atm di Hiroshima, qualche caffè e 1000 sigarette, ci accomodammo su un marciapiede a pensare a come avremmo potuto risolvere l’imprevisto.
Mi collegai sul sito di Willer-bus.
A che ora ce l’hai il pullman? Le domandai con tono rassegnato.
Alle 18,00.
Senti qui mi indica duemila codici.. dammi un riferimento preciso, ne partono due alle 16.45 e l’altro stasera.
Barbara che vuoi fare?
Vengo con te. Non ti lascio nella merda, in Giappone, senza soldi. O ti prendi i miei o vengo con te!.
Per un attimo ci guardammo accennando un ghigno.
Senti Claudia, andiamo, forse deve andare così.
Barbara ma a Kyoto mi fermo solo due giorni poi tu che farai?
Non lo so Claudia camminerò in giro per il Giappone o magari ritorno nello Shikoku, non lo so!
Claudia sarebbe rientrata in Italia dopo qualche giorno mentre io avevo a disposizione ancora un mese.
Acquistai il biglietto senza pensarci due volte spendendo 5.500 Yen .
Chi decide qual è l’inizio e quale è la fine? Le domandai.
Sull’isola di Shikoku avevo capito che i vincoli terreni li avevo abbandonati già da un bel pezzo, così come ho imparato, in tutti i miei cammini, che la meta è spesso sopravvalutata. In fondo un pellegrino è un vagabondo di strada che si gode la Via di mezzo nella consapevolezza che gli imprevisti sono una costante della Vita .
Poco prima di raggiungere la stazione dei bus incontrammo un altro Atm. Claudia fece l’ennesimo tentativo, però questa volta il bancomat sputò fuori le banconote! Si voltò velocemente verso di me spalancando gli occhi ed assumendo i toni di quella che l’ha appena combinata grossa.
Belin, scusa scusa!
Mi voltai di scatto e il suo volto si ricoprì di dispiacere mentre le mani stringevano una mazzetta di banconote da 1000 yen.
Claudia, tranquilla, deve andare così, è tutto scritto, non ci stressiamo. Andiamo dai, beviamoci una birra.
Era giunto il momento di rimettermi in cammino spingendo i passi altrove, continuando il mio viaggio con una carica di speranza in più.
Direzione Kyoto.