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Ryōzen-ji – L’inizio

Aprii gli occhi e in corrispondenza della mia testa una presenza  ciclopica e immobile mi fissava, senza capire di quale divinità potesse trattarsi. La carenza di diottrie mi fece sbalzare dal futon fiondandomi sulla scrivania per recuperare gli occhiali da vista.

Minchia! Spalancai gli occhi mentre uno scarafaggio nero mostruoso prendeva forma. Credo di non averne mai visto uno così grosso, neppure a Catania ricordata non solo per il barocco. 

Belin, ma cosa c’è? Esclamò la mia nuova compagna di viaggio!

Essenzialmente minchia o belin hanno lo stesso significato, ma il turpiloquio ligure è decisamente più elegante di quello siciliano. La giovane e bella Claudia rapidamente alzava lo sguardo sopra di noi.

O minchia!”

Quella fu la prova che qualcosa in comune avevamo; oltre ad essere avvocate ci accomunava anche la sindrome di Touret.

Due avvocati sull’isola di Shikoku, pare il titolo di un racconto e in effetti è il nostro. Due personalità esuberanti ed estroverse che anziché darsi alla frivolezza si sono infilate, da buone avvocate, in un altro sistema colmo di regole, quelle del Giappone. Anche Claudia aveva percorso la strada per Santiago e anche lei, come me, si ritrovava in Giappone per caso.

Tokushima - Barbara

Trascorsa la notte insieme tra i postumi del jet lag  ci ritrovammo alle luci dell’alba a consumare una colazione a base di insalata, accompagnata da uova sode e dal buongiorno delle cicale. Tutto era perfetto salvo un particolare: mancava il caffè; il mio amato caffè, che dovetti dimenticare fino alla città successiva. Il Giappone sarà famoso per il sushi ma non di certo per il caffè. Così, per ovviare alla carenza, appena incontravo un distributore automatico acquistavo un black coffe freddo che, date le elevate temperature, si intiepidiva e lo conservavo per la mattina seguente. 

Osservavo la mia nuova compagna per caso mentre si rimpinzava di insalata. Come puoi mangiare insalata a colazione? Come puoi riuscire a colloquiare con la monaca buddista con tanta disinvoltura? Claudia si trovava da qualche settimana in Giappone e aveva già visitato le grandi città per poi approdare sull’isola di Shikoku. Provavo un senso di malessere apparentemente incolmabile pensando che quella sarebbe stata la mia nuova compagna di cammino che non solo non avevo scelto, ma neppure avevo cercato. Il desiderio era rivolto alla mia solitudine. Dopo il travaglio dei miei anni romani avrei potuto scegliere un’altra meta, come Formentera? Ibiza? Dopo tutto, un po’ di leggerezza me la meritavo. E invece no, senza pensarci due volte, scelsi il Giappone, la terra del Sol Levate, la terra del silenzio. Ma così non fu perché non solo incontrai un’italiana, in agosto, che da buon avvocato parlava alla velocità della luce la mia stessa lingua, ma dialogava pure in giapponese. Praticamente uno stillicidio lento e continuo. Ma nella vita ho imparato che gli incontri non sono mai casuali e, quindi, decisi di accogliere quella nuova amica.

Shikoku Cammino 88 Templi

Conclusa la colazione era giunto il momento di acquistare gli averi del pellegrino. Insieme a Tata, la monaca buddista, ci recammo in un negozio accanto al tempio numero uno e mentre Claudia si accomodava su una panchina a sfogliare un giornaletto in lingua locale, io mi lasciai guidare dalla donna sacra. L’odore dell’incenso che aleggiava nel negozio si face sempre più intenso fino ad avvolgermi in un’aurea di colori rilassanti. Tata mi precedeva e decisi di imitarla. Mani giunte e inchino lento: quello sarebbe diventato il mio nuovo saluto in Giappone. Senza fiatare, entrammo all’interno del negozio e mi indicò con l’indice destro gli oggetti che avrei potuto comprare e portare con me sul cammino, per poi ritirarsi in un angolo a braccia conserte affinché io scegliessi. Subito gli occhi mi caddero sull’espositore che conteneva il libro dei timbri, una sorta di credenziale, e presi quello più colorato. Le prime emozioni positive arrivarono proprio con la scelta del mio libro mentre il colore cupo del cielo e l’umidità non mi impressionavano più. Poi fu la volta del cappello, della borsa a tracolla, dei bigliettini sacri, dell’incenso, della campanellina, della guida e infine della veste bianca. Sul dorso della casacca vi era impressa la scritta Cammina con me e leggerla per la prima volta mi rincuorò, perché nonostante fossi abituata a viaggiare da sola la paura non accennava ad andarsene: forse perché non parlavo il giapponese? forse perché il luogo in cui mi trovavo non rispecchiava le mie aspettative? Maledette aspettative. Fatto sta che alla mente mi ritornò una frase che poco prima avevo letto sul libro di Bushido: si va in battaglia non soltanto per vincere, ma anche per morire.

Credendo di aver concluso gli acquisti mi rivolsi alla cassa per pagare ma Tata mi bloccò afferrandomi per un braccio e portandomi verso un espositore indicando un oggetto che mancava tra i miei averi. Esposte, vi erano una sfilza di stole colorate che parevano delle cravatte, se non fosse per le lunghe frange. Anata no sampo no riyūwana nidesuka? Il mio traduttore si azionò: quel’è il motivo del tuo camminoL’entusiasmo legato agli acquisti scomparve in un batter d’occhio mentre fissavo la monaca nella sua gelida compostezza. La stola (wagesa) era collegata alle motivazioni che spingono un pellegrino a camminare nello Shikoku e si indossa esclusivamente durante la preghiera. Indirettamente la domanda era: perché sei qui? cosa ti porta a camminare sui passi di Kobo Daishi? Io non sono neppure buddista e in una frazione di secondo la mia vita cominciò a scorrere in fotogrammi. Forse era realmente giunto il momento di darmi delle risposte?

Alzai le spalle e mi lasciai guidare dall’istinto scegliendo il colore che più mi piaceva, melanzana, per scoprire solo dopo che rispecchiava il colore sacro dei monaci. Tata, in una sorta di rituale, prese la stola e con la stessa cura con cui si maneggia una collana di perle la infilò intorno al mio collo proteggendola con un nodo e stirandola affettuosamente sul mio petto. Entrambe ci ringraziammo inchinandoci l’una verso l’altra.

Shikoku Cammino 88 Templi

Ufficialmente in quel momento diventavo una O Henro San, una pellegrina dello Shikoku.

Uscite dal negozio mi attraversò un senso di nostalgia e la domanda di Tata quale è il motivo del tuo cammino? era un segno del destino che non mi avrebbe fatto alcuno sconto. Io non conoscevo le mie motivazioni e non me ne preoccupavo molto poiché ero certa che prima o poi le avrei trovate. Ecco, le motivazioni stanno proprio nel tratto centrale che separa l’inizio dalla fine del percorso; quel percorso che seppur agli occhi di tutti può sembrare uguale e noioso, per il singolo viandante assume una immagine diversa a seconda dello stato d’animo che lo investe in quel preciso momento. Camminare significa attivare tutti i sensi, non soltanto gli arti che diventeranno il tuo lento motore, ma anche la vista che ti permetterà di fotografare i dettagli del paesaggio, l’olfatto che sarà inebriato dagli odori della resina del bosco, il gusto che ti consentirà di assaporare il piatto tipico di quel minuscolo ristorantino. E poi c’è il tatto che ti permetterà di accarezzare i fiori di un campo, di raccogliere la terra sotto ai piedi, di coccolare un gatto che ha deciso di farti compagnia per un chilometro prima di cambiare strada. Quelle immagini che nei mesi hanno preceduto la partenza occupando tutte le notti prima di addormentarti, ora prendono realmente forma e mentre il campo assolato e arido si confonde con il bianco delle margherite, tra le distese di lavanda, con il trascorrere del tempo, il giallo del sole si amalgama ai colori del tramonto. Ora non sei più spettatore delle foto che i tuoi predecessori hanno scattato, ora tu diventi parte di quel paesaggio silvestre.

Shikoku Barbara e Claudia

La domanda di Tata mi accompagnò per tutto il mio viaggio in Giappone. Avevo abbandonato la vecchia strada per ritornare sui miei passi e ricominciare daccapo. Si dice che a volte è necessario fare un passo indietro per avanzare oltre; forse inconsciamente era giunto il momento di fare i conti con me stessa e il silenzio, da lì in poi, avrebbe fatto il resto.

Belin, ti sta proprio bene quel melanzana li!

Claudia ci vide uscire dal negozio e con la puntualità di una gazza ladra interruppe i miei intimi pensieri, strappandomi, come del resto fece per tutto il nostro cammino, un sorriso.

Claudia, figa, è un pezzo sacro, dai ..

Vabhè ho detto solo che ti sta bene il colore, mica ho bestemmiato!!

Shikoku Barbara