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Ad ognuno la sua Croce

Che poi, a dirla tutta, ogni volta che a Gesù succede qualcosa io prendo mediamente 5 chili. Ma quell’anno no. Quell’anno nel periodo pasquale mi trovavo in cammino e di chili, quella volta, ne persi otto.  Quella volta, sulla strada che porta a Santiago de Compostela, di chilometri a piedi ne percorsi quasi mille, da Lourdes a Finisterre, la fine del mondo. Si, quasi mille, senza considerare i chilometri macinati all’interno di basiliche, mini market, toilette, sentieri sbagliati, sentieri per trovare un tabaccaio, sentieri per acquistare una birra ghiacciata, sentieri per ritrovarmi. Si parla di tanti anni fa ormai e anche se dopo quel primo cammino, di cammini, ne ho percorsi parecchi, quello mi è rimasto nel cuore tanto da far scendere una lacrima non appena si avvicina il giorno di Pasqua. Che poi la Pasqua è un po’ come il Natale, manca sempre qualcuno alla tavola imbandita.

L’emozione camminava di pari passo alla mancata esperienza su tutto. Scarpa acquistata? Sbagliata. Zaino acquistato? Sbagliato. Abbigliamento? Sbagliato. Talmente tutto era sbagliato che i compagni di Cammino, che sulla Via incontrai, mi chiamavano scherzosamente la Barby, e non di certo come diminutivo del mio nome: scarpa rosa e zainetto mignon = BARBY!  

Ciononostante però mi adattai a quella nuova condizione estrema. La pioggia la combattevo con delle buste di plastica che infilavo tra la scarpa e il piede, e il corpo? lo proteggevo dalla pioggia con un sacco enorme della spazzatura. Il sole? Camminavo all’alba dell’alba.

In silenzio camminavo e accettavo gli imprevisti che la vita mi metteva di fronte. Non avevo alcun tipo di preparazione fisica e imparai a bere l’acido lattico. Prima 15, poi 20 poi anche 40 km al giorno. Te li fai. In silenzio te li fai, perché impari a camminare con la testa e non con le gambe. Anche se poi, in Cammino, diventi bipolare. Ti alzi alle 5 del mattino e infili le scarpe chiedendoti chi cazzo te lo ha fatto fare, mentre ti affretti a bere il caffè perché devi sfidare l’arrivo del sole e sfruttare la brezza mattutina scongiurando un colpo di calore. Poi, però, mentre cammini incontri una margheritina bellina e componi un braccialettino carino perdendo almeno un’ora di tempo ad infilare lo stelo che, puntualmente si piega, nell’altro fiorellino, che non si fa fecondare e così, il buon proposito se ne va a farsi fottere giungendo a fine tappa con le spalle ustionate!

Cammino di Santiago ph Lavaligiasulletto

Era il giorno della Santa Pasqua quello e mi trovavo a Carrion de Los Condes. Ero arrivata in tempo per riposarmi e bucare quelle maledette vescichette che mi impedivano di proseguire. Così, decisi di fermarmi.

Il piccolo paese si preparava alle celebrazioni simulando la Via Crucis tra animatori vestiti per l’occasione e scalette delle chiese addobbate con fiori colorati. La sofferenza si leggeva nel volto delle persone e un po’ anche nel mio. Ciascuno portava la propria croce.  Feci un giro del paese ma la troppa confusione risultava intollerabile alla mia mente che per trenta km era rimasta nel silenzio. Così mi ritrovai in un baretto nelle vicinanze dell’ostello che per la notte mi avrebbe ospitata, decidendo di dimenticare quel dolore inaspettato che provavo in fondo al cuore. Ordinai la prima birra, poi la seconda ed anche la terza. A quel tempo bevevo pure la Sambuca.

Casualmente seduti al tavolo accanto al mio vi erano i tre ospitalieri dell’ostello che poco prima avevano registrato la mia presenza in alloggio. Dopo solo un sorriso mi trovai seduta al loro tavolo mentre si raccontavano la loro croce, il motivo delle borse sotto agli occhi, di quella ruga in più sul viso, dell’ultimo passo compiuto.

L’anziana donna spagnola dai capelli grigi raccolti in uno chignon rideva e beveva più di me; il giovanotto belloccio e ben pulito risiedeva nella via parallela all’ostello e poi Lei, che per ovvie ragioni non cito il nome, una dolcissima italiana, volontaria presso la struttura insieme all’allora marito. Le parole erano scandite dal tempo del silenzio e mi accorsi subito che quando si decide di lasciare andare qualcosa, il verbo manca e a parlare è solo l’anima  affiancata da rassegnate movenze.

Tutti a quel tavolo eravamo accomunati da un costante pensiero: avere sbagliato qualcosa nella Vita. Gli occhi dell’anziana donna sprigionavano amarezza mentre quelli di Lei, mi accarezzavano dolcemente, con tanto amore, quello di una madre.

Tra un bicchiere e una parola si fece l’ora, quella tarda e salutai, augurando a tutti una piacevole Pasqua. Ritornai in fretta all’ostello che ovviamente aveva chiuso due ore prima, lasciandomi fuori dalla struttura, al freddo, accanto al cassonetto dei rifiuti del bar.

Eccola Bar, con le infradito, le papole ai piedi incerottate, al freddo, al cassonetto del bar…  Si materializzò subito Lei alla quale feci particolare pena: forse per le infradito Havaianas che indossavo con disinvoltura?  forse perché l’indomani mi sarei rimessa in Cammino alle 5? o ancora per la mia croce frammentata e raccontata poco prima davanti alla Sambuca? 

Porca troia come faccio ad entrare. Mi avevano dato il coprifuoco alle 22 ed è mezzanotte. Borbottai arrabbiata con me stessa. La solita me stessa.

Lei rise cercando di rassicurarmi: tranquilla, mio marito ha iniziato il turno poco fa se vuoi gli dico di aprire il portone, ma se preferisci ritorniamo al bar e concludiamo in bellezza.

Lei il cammino lo conosceva bene e da molti anni si prestava al  volontariato nelle strutture presenti sulla Via di Santiago. Rimasi folgorata dalla sua stupefacente bellezza e mi accorsi subito che nelle sue vene scorreva il sangue caldo del Sud di Italia, quello che sa di estate e di melanzane fritte. Cedetti alla proposta di chiudere in bellezza la serata ordinando un’altra birra e mentre l’ostello restò chiuso, noi continuammo a raccontarci la Vita, ridendo sopra alle nostre croci e promettendoci, ogni giorno, di risorgere come Gesù.

I sorrisi di quella notte li porto sempre nel mio cuore.

Carrion de Los Condes Barbara ph Lavaligiasulletto